Quel petardo di mia fortuna: riconsiderando la caduta di Giovan Battista Ciampoli

Federica Favino

Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa.

Napoli. Italia

 

Il 23 novembre 1632, alla vigilia della convocazione di Galileo davanti al tribunale del Sant’Uffizio, monsignor Giovan Battista Ciampoli viene allontanato da Roma. Addetto alla stesura dei brevi segreti ai principi nella segreteria di papa Urbano VIII, e come tale legittimamente aspirante al cardinalato, Ciampoli viene inviato nel cuore dell’Appennino marchigiano come governatore, tra i primi incarichi di un giovane prelato. Le vicende che portarono alla sua partenza sono state, in anni recenti, oggetto di rinnovato interesse, interpretate, ora, nella cornice di una stagione culturale cui il potere intendeva porre fine, ora come ‘prova generale’ della imminente ‘caduta’ dal favore papale di un ‘cortigiano’ di ben altro rango. La ricostruzione di quelle vicende, tuttavia, rimane tuttora legata ad una documentazione incompleta e disomogenea, cosicché la natura delle fonti disponibili ne ha suggerito una lettura tutta politica (come nel caso del Favaro), mentre le lacune ne hanno incoraggiato una lettura indiziaria. Seppur brevemente, sulla base dei documenti disponibili – di quella noti e di quelli meno frequentati dalla storiografia specialistica – si intende qui ripercorrere nella loro unitarietà i fatti che condussero Ciampoli al suo ‘honorato esilio’.

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